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sbobinature

 

11 luglio 1979 – da Wikiradio:

Giorgio Ambrosoli: perché Eroe, perchè Borghese

Mimmo Franzinelli racconta l’assassinio dell’Avvocato Giorgio Ambrosoli, l’11 luglio ‘79, mandante Michele Sindona, banchiere, mafioso, interlocutore di Giulio Andreotti,

http://www.radio3.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-9d14f9d3-8543-49fc-b6c5-58b74b6353e6.html

“…interessante, vero? Arrestano Sarcinelli (Banca d’Italia) che si oppone al salvataggio della Banca Privata (di Sindona) a spese dei cittadini, la Procura di Roma apre una inchiesta, ma sulla Banca d’Italia, e così di seguito”. Ho mandato una lettera di dimissioni – risponde Ambrosoli – ma non sono state accettate”…”Avvocato, ma lei si illude veramente di poster cambiare un sistema così radicato da essere diventato la struttura stessa del nostro paese, dove la Mafia può essere considerata il nostro unico datore di lavoro?…Lei mi ha insegnato una frase molto bella: il vero paese è quello che ci costruiamo con il nostro lavoro. Si. È bella, ma è una frase e niente di più. La prego di voler accettare le mie dimissioni. Buona fortuna avvocato!” E’ il dialogo tra Ambrosoli e una delle poche persone rimaste fedeli al suo fianco mentre il suo meticoloso lavoro andava verso una conclusione precisa: la liquidazione di una banca “ponte del diavolo” tra Cosanostra, lo IOR (epoca Marcinkus!) e il Governo (primo ministro Andreotti!). In quegli stessi giorni Sarcinelli (interlocutore di Ambrosoli in Bankitalia cui si fa riferimento nel dialogo poco sopra) è stato arrestato e lo stesso Governatore della Banca Centrale, Paolo Baffi (uno dei pochi che appoggia l’azione rigorosa del professionista milanese) è messo in stato di accusa! Nel giro di tre mesi Sarcinelli viene rimosso dall’incarico e Baffi si dimette. (Verranno del tutto scagionati, ma solo due anni dopo!). Agghiacciante, ma “necessario” –  risentire la registrazione di una telefonata minatoria in cui si sostiene che Andreotti in persona ha indicato in Ambrosoli “la causa di tutti i guai” di Sindona.  Ancora più agghiacciante, ma ancora più “necessario” ascoltare l’ inconfondibile voce del “Divo Giulio” (intervistato nel 2010 a “La storia siamo noi” in onda su Rai 2), sulle cause dell’assassinio (letta la sua sprezzante risposta non rende abbastanza l’idea): “Questo è molto difficile, io non voglio sostituirmi né alla polizia né ai giudici. Certo era una persona che in termine romanesco direi se l΄andava cercando“.

Per questo Ambrosoli – uomo che si rifaceva ai valori di una destra in via di dissoluzione fu definito “Un Eroe Borghese” da un uomo di sinistra, come Corrado Staiano che ne ha scritto forse la migliore biografia, un libro più prezioso della medaglia d’oro che lo Stato (che lo aveva lasciato solo) gli riconoscerà troppi anni dopo. Lasciato solo e senza la benché minima scorta nonostante le tante telefonate minatorie nell’ultima delle quali – nell’aprile ’79 – gli si preannuncia l’imminente “esecuzione”. Cosa che non ammorbidirà minimamente la determinazione di un uomo che in una toccante lettera mai spedita, ma trovata da sua moglie in un cassetto della sua scrivania, rivelava tutta la consapevolezza di ciò cui stava andando incontro, ma tutto l’orgoglio per un incarico che gli consentiva di rendere un “servizio allo stato e non ai partiti”, come sempre sognato! E si deve a un altro uomo di “quella” destra – Indro Montanelli – la lucida analisi storico-politica del “cambiamento”allora all’inizio ma irreversibile del nostro paese, della sua “classe dirigente”: fu lui a definire l’uccisione dell’avvocato “un episodio fatidico, che sigla in modo drammatico la liquidazione di quella borghesia conservatrice, quella delle professioni tradizionali che aveva il decoro e l’onestà come costume di vita, da parte dei nuovi ceti dominanti: non servite più, anzi: intralciate i nostri affari. Fatevi da parte, sciò”. Per questo Giorgio Ambrosoli è importante ed è importante ricordarlo non solo nel giorno dell’anniversario dell’efferato omicidio. “E’ il simbolo del paese che nonostante tutto resiste -. conclude Franzinelli – ed è di grande attualità il senso di compiere il proprio dovere nonostante con coerenza e sacrificio e da lui possiamo attingere un messaggio controcorrente di cui abbiamo sempre più bisogno”

11 luglio 2017 – “sbobinatura” e commenti di Claudio Giorno

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Al lupo, al lupo!

da primapagina, RaiRadioTre,  3 febbraio 2017

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Nella ricerca di nemici da respingere, rinchiudere, magari eliminare, oltre ai migranti, agli islamici e a tutti i nostri simili colpevoli di essere come “noi”, ma nati altrove ci sono anche “loro”: i lupi, tornati da alcuni anni nei nostri territori (a loro rischio e pericolo visto quanti se ne trovano morti investiti o avvelenati) ma indicati come pericolosi killer di umani e di altri animali (in particolare sterminatori di greggi…).

E’ con autentica ma piacevole sorpresa, quindi, che ho ascoltato (e “sbobinato”) la telefonata che segue dalla trasmissione “primapagina del 3 febbraio 2017.

“Buongiorno, mi chiamo Michele e telefono da Cuneo. Dal momento che posso parlare con cognizione di causa perché faccio il pastore da più di venti annui”…- i lupi esclama il conduttore, ci vuol parlare di lupi?! – “Ecco, si:  volevo parlare dei lupi”, riprende l’ascoltatore che premette: “la mia non è una domanda, ma una testimonianza; allora io penso questo e per la mia esperienza ho visto questo: che mentre i problemi della montana e delle persone che vivono in montagna sono completamente altri (e guarda caso non vengono quasi mai toccati) tipo lo spopolamento, la progressiva mancanza di servizi, gli atteggiamenti miopi dei proprietari di fondi che magari vivono in Australia e continuano a tenere un pezzo incolto senza pensare di darlo a chi lo può usare, lo può lavorare… Allora questi sono i problemi. La questione del lupo  come avevo accennato alla redazione, non è né la prima, né l’ultima e forse neanche la decima delle problematiche che noi viviamo tutti i giorni; infatti basta fare il lavoro come va fatto,essere presenti negli alpeggi, custodire il bestiame, avere dei cani da guardianìa, e le predazioni sono molto ma molto poche.      Poi c’è anche da ricordare che i capi predati vengono rimborsati, quindi – tutto sommato – la conclusione mia è che questo argomento siccome è un argomento di quelli che si classificano un po’ “di pancia”è stato usato e abusato da gruppi ben precisi che io non faccio fatica a nominare e che sono, ad esempio, la lobby dei cacciatori, i quali dovrebbero tacere perché sono diretti competitori del lupo e quindi in grande conflitto di interessi, e alcune forze politiche tipo la lega,che hanno giustamente intravisto un buon argomento di propaganda tra le nostre popolazioni e o hanno usato e stra-usato. Questo volevo dire  a quanti sostengono il seguente aut-aut:” o i pastori o i lupi”. Da cui discende “eliminiamo il lupo”visto che eliminare il pastore sarebbe omicidio… E quindi questa è una falsa equazione che però dalle nostre parti va avanti. La saluto.

Segue il breve commento di Barbacetto che si dichiara “di pancia” a favore del lupo e ringrazia chi ha voluto testimoniare dal di dentro come stanno davvero le cose.

Per chi volesse ascoltare la viva voce di Michele – pastore di Cuneo – qui di seguito il link al “podcast” da ascoltare dal minuto 31:50 circa del “filo diretto” tra il conduttore (in quella settimana Gianni Barbacetto de “il fatto quotidiano”) e gli ascoltatori.

http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/popupaudio.html?t=PRIMA%20PAGINA%20Filo%20Diretto%20del%2003%2F02%2F2017&p=PRIMA%20PAGINA%20Filo%20Diretto%20del%2003%2F02%2F2017&d=&u=http%3A%2F%2Fwww.radio.rai.it%2Fpodcast%2FA46328765.mp3

Borgone Susa, 7 febbraio 2017 – sbobinatura  a cura di Claudio Giorno

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Dopo-referendum

Il figlio del pensiero-unico

L’ intervento del sociologo Domenico De Masi a “Omnibus la 7” di sta mattina, 11 dicembre 2016

Conduttore: abbiamo affermato tra l’altro che le sconfitte sono figlie di tante cose, ma che una di queste – nel caso di Renzi – à di non aver detto molte cose di sinistra in questi due anni e di averne dette invece parecchie, diciamo di centro destra per non dire di destra. Lei – professore ha recentemente risposto sul Corriere a chi sosteneva che “stiamo andando un po’ meglio” (a proposito della uscita di alcuni indici di fiducia) sostenendo che in realtà si tratta di “assuefazione al peggio”: basta essere a un centimetro sopra il fondo della botte e ci sembra di respirare. Credo che alla fine sia figlia di tutto questo la sconfitta.

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De Masi: non c’è dubbio: è venuta fuori la realtà, il sentimento diffuso. Ma vorrei cominciare affermando che di tutti voi qui presenti in studio credo di essere l’unico che c’era già quando venne promulgata la Costituzione! Avevo otto anni e me la ricordo come una grande festa di popolo: la Costituzione è una cosa a parte, non una legge qualunque. Ci si deve arrivare come a una grande conquista di un popolo. Di solito ci si arriva dopo una rivoluzione, dopo dei morti, non si può arrivare a una Costituzione dividendosi: è una follia! Non attiene al fatto stesso della Costituzione che significa darsi un futuro, darsi una visione.

Detto questo torno alla domanda, alle “cose di sinistra”; che cos’è in fin dei conti la sinistra: è quella parte del paese – del potere politico –  che si fa carico degli sfruttati, che da loro voce; e che quando deve fare una analisi – l’analisi del voto, oggi, la fa in termini “di classe”; questa è la sinistra: una cosa molto semplice e molto chiaramente distinta da quella che sinistra non è.  Ora vediamo in base a questo schema molto semplice che cosa è successo: prima di tutto c’è stato un neoliberalismo e non c’è stato un neo-marxismo; cosa che ha creato un dislivello e non solo nel nostro paese ma in tutto l’”occidente”: abbiamo avuto un “pensiero unico” da Reagan e dalla Tatcher , dagli anni m’80 in poi, che ci hanno portato a dire che il neoliberismo è “moderno”, ma che – non essendoci stato un neomarxismo non c’è niente di “moderno” a sinistra! Andiamo allora a guardare le cose fatte in questi due anni da noi: due anni son pochi, ma è stato fatto tantissimo se uno ci pensa: intanto sono aumentati i poveri: anzi, guardate bene: sono raddoppiati! E’ considerato “normalmente povero” il 47%, vale a dire uno su due! E sono considerati “poveri assoluti”(il che significa proprio “la fame”),  sei milioni di persone di cui 1 milione sono bambini! Sono raddoppiati nei due anni di Renzi!

Prendiamo ora in considerazione gli insegnanti, che sono la parte più bistrattata del paese: con delle scuse varie è sembrato che li sia rimessi in linea, ma in realtà sono tutti in subbuglio: hanno tutti votato NO!

I disoccupati: è uscito un libro di Ichino che titola “il ritorno del lavoro”: ma vogliamo prenderci in giro? Qua siamo passati, per i giovani, dal 42% al 37% contando anche i vaucher considerando “lavoratori” anche coloro che vi ricorrono per tirare su un po’ di reddito…Ma allora ci prendiamo in giro, cosa che è tollerabile se lo facciamo tra di noi che abbiamo un reddito, ma chi è in condizioni di tale disagio non lo si può prendere in giro.

Il rapporto con i sindacati: è stato sostenuto da Renzi che è meglio parlare con Marchionne che con la Cgil! Ma questa è una follia totale. La Cgil che vota in modo opposto a quanto indica il segretario del partito di riferimento!

E poi il sud: oggi il mezzogiorno del paese si trova in una situazione molto più disastrosa di quanto lo fosse due anni fa.

E poi c’è il welfare: guardate che qui c’è stato un arretramento enorme! Si pagano molti più farmaci di due anni fa, per fare un esempio.

E così tutto il resto. Cosa che ci porta a una situazione che – ci piaccia o no – non è (tra virgolette) “di sinistra”, e la voce agli sfruttati non la da più il Pd. Ma questo lo ha detto poche sere fa Rosy Bindi, e lo dicono in tanti all’interno di quel partito.

E io allora provo a mettermi nei panni di Renzi: che deve dare conto di un disastro a chi lo ha voluto li! Si è detto tante volte “chi lo ha voluto li”: tutti i ricchi: Renzi ha speso in questa campagna una somma che tutti noi messi assieme non avremo mai la possibilità di spendere in una intera vita! Sono stati spesi fiumi di denaro a corpo morto e coinvolti nel sostegno la Merkel, Obama, Tony Blair: è a questi – cui aveva fatto credere che avrebbe vinto – che deve dare conto, e poi a tutti coloro che nel frattempo aveva “sistemato”:  in Eni, Enel, e di tutti gli enti in cui ha potuto: tutta gente che oggi si sente un po’ orfana, per cui l’ho capito  quando ha titubato un attimo (anche se è scandaloso  che a mezzanotte annunci l’uscita di scena e al mattino dopo svolga le consultazioni parallele a quelle del Presidente della Repubblica)!  Ma lo capisco: oggi  ha “sopra e sotto”tanta  gente a cui rendere conto; chi lo ha messo li. Chi gli ha versato ricchi contributi per portarlo alla vittoria nel referendum non ama sprecare e oggi gli rimprovera che a fronte di un così ingente investimento il risultato sia il 40% contro il 60%! Per questo non vorrei proprio essere nei suoi panni in questi giorni…

http://www.la7.it/omnibus/rivedila7/omnibus-11-12-2016-200097 (dal minuto 44 circa in poi – sbobinatura e ricerca in rete a cura di Claudio Giorno)

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5 dicembre 2016, Torino, la dichiarazione di voto di Chiara Appendino della “mozione No Tav” del Consiglio Comunale

“E’ un atto di cui io sono molto orgogliosa…”

Da Luca Giunti:
Ecco la sbobinatura fedele della dichiarazione conclusiva di Chiara Appendino, Sindaco di Torino, prima dell’approvazione della mozione che impegna la Città di Torino a “esplicitare in tutte le sedi politiche e istituzionali, locali, nazionali ed europee, la contrarietà della Città di Torino alla Nuova Linea Torino-Lione”.
Due minuti e mezzo molto intensi e molto chiari.
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” Grazie Presidente. Io ringrazio tutti i consiglieri per il dibattito, che credo sia stato interessante anche se credo che sia stato davvero un peccato che non sia potuto procedere con un consiglio comunale aperto, dove avremmo potuto sentire le ragioni del Sì e del No a confronto. Io so bene che un sindaco non può bloccare l’opera. L’ho detto più volte in campagna elettorale, l’ho anche detto in conferenza stampa e lo ridico qui. Però questo è un atto che ha una grande valenza politica. E’ un atto di cui io sono molto orgogliosa e che voterò con grande fierezza, perché la Città di Torino dice NO alla Torino-Lione e questo è un messaggio che non può essere ignorato dal Paese e non può essere ignorato dall’Europa.
Quindi è un atto politico di grandissima importanza. E le ragioni del mio No – e mi spiace che oggi non si siano potute affrontare anche nel merito confrontandole con quelle del Sì – ribadisco, non sono assolutamente ideologiche ma sono frutto di un’analisi costi-benefici.
E siamo in una società e un momento, purtroppo, dove le risorse sono scarse, dove i bisogni sono forti e noi abbiamo bisogno di dare attenzione a quelli che sono i bisogni primari. E la Torino-Lione alta velocità non dà una risposta a bisogni primari. I costi sono maggiori dei benefici. E’ un’opera inutile, dannosa, e quindi io oggi voterò Sì a questa mozione per riaffermare la posizione della Città di Torino” .

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Chi è disposto a sacrificare la propria libertà per briciole di sicurezza non merita né la libertà, né la sicurezza (Benjamin Franklin)

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Ovvero: se libertà fraternità e uguaglianza  sono ormai garantiti piu’ da una spa sostenuta dal favore dei consumatori che dai governi “democraticamente eletti”… la magistratura Usa contro Apple (e successivamente Google, Facebook e Twitter). Tema: la richiesta di decrittare lo smartphone del terrorista autore della strage di San Bernardino per scoprirne legami, complici, piani ecc. e a cui Apple (la casa costruttrice) ha fin qui risposto di no!

Matteo Flora a “Omnibus La 7” su cybersicurezza  18 febbraio 2016

Gaia Tortora: è giusto oppure no?

Matteo Flora: E’ un discorso complesso: nessuno è ancora riuscito a inventare un missile che non uccide innocenti o una pistola che ammazza solo i cattivi. Quel che viene chiesto dal magistrato Usa è di realizzare un sistema in grado di circuire il sistema di sicurezza presente in quasi tutti gli “i-phone”. E’ un precedente pericoloso non perché legato al caso in questione in cui forse avrebbe anche ragione di essere usato, ma perché una volta creato ci si troverebbe nella situazione di doverlo mettere a disposizione di una serie di governi e non tutti i governi sono esattamente democratici (anzi lo sono tutti  sempre di meno, NdR). Oltretutto ci troveremmo nella posizione di avere un’arma per invalidare qualunque tipo di protezione su qualunque tipo di telefono; la sola presenza di una simile tecnologia diventa pericolosa per molti e in tutto il mondo…

GT: è giusto o sbagliato osservare che a questo punto una società privata detenga più potere di uno stato se può dire un NO di questo tipo?

MF: in realtà non sta dicendo no: non è Apple che crea qualcosa per andare contro le leggi di uno stato. Il nemico della stato si chiama matematica. La crittografia se bene applicata non consente a un terzo di intercettare le comunicazioni. Tra l’altro è uno dei pochi baluardi on line (anonimato e crittografia) che consentono nei paesi che hanno grosse problematiche di libertà di parola di riuscire ad esercitare tutto quello che è “libertà di comunicare”; ricordiamoci sempre che quelli che noi chiamiamo terroristi probabilmente lo sono anche, ma l’etichetta di terrorista nei “paesi diversamente democratici” viene applicata ai combattenti per la libertà. Quindi: “quali sono i terroristi cattivi a cui possiamo sparare”? Ci possiamo fidare che ci sia di volta in volta qualcuno che determina chi si può arrogare il diritto di aprire o non aprire un computer? La matematica questo problema lo risolve a monte: un qualcosa che è cifrato è cifrato, punto.

GT: Senta, Cook (L’AD di Apple, NdR) nella sua lettera scrive: “abbiamo paura che questa inchiesta possa minare la libertà, che il nostro governo intende invece proteggere”. Insomma Cook dice che capisce le motivazioni della richiesta, però che tutto si risolva in un controsenso e che si vada a minare – come diceva lei – proprio la libertà che il nostro governo vuol tutelare. Questo è quel che accade in America dove – possiamo dirlo – sono molto più avanti di noi se non altro dal punto di vista degli investimenti; quanto siamo invece consapevoli di questo dibattito nel nostro paese?

MF: la consapevolezza esiste, poi non esiste un’azione commisurata ad essa; ricordiamoci anche che stiamo parlando del governo USA diventato noto, negli ultimi anni, per i programmi di spionaggio internazionale dove hanno spiato, negli ultimi anni, chiunque fosse “non cittadino americano”, comprese ambasciate, compresi attacchi a computer di altri governi (“canaglia” o alleati NdR)…C’è sempre questa cosa particolare quando si parla di governo americano dove i problemi nascono solo quando i servizi segreti vogliono intercettare un cittadino americano, tutti gli altri sono “liberi di essere intercettati”… Esiste ovviamente una problematica: la posizione di Apple e di Google ha molto a che fare con quello che è successo negli ultimi anni con i fenomeni di intercettazioni della NSA. E’ proprio durante questi fenomeni che le aziende si sono erte a unico baluardo per i cittadini di tutto il mondo. E ricordiamoci che è vero che Apple è una società americana e Google anche, ma operano in tutto il mondo e lasciare una porta aperta per un governo, sfortunatamente significa (per questioni matematiche e non etico morali) doverla lasciare aperta per tutti. In alcuni paesi del mondo questo è un problema. Noi lo sappiamo, l’Europa sa che tutta la parte di sicurezza è necessaria, ma si sta muovendo un po’ più lentamente di quanto si muovono gli attaccanti dell’altro lato.

GT: Questo riflesso condizionato di quando parliamo di sicurezza informatica – per non parlare di cybersicurezza – di pensare solo alla nostra paura di essere intercettati – tracciati e quindi di essere come un libro aperto per tutti, in realtà questo è una fase già superata perché ormai è già così nonostante i no che noi possiamo dire…Io ho l’impressione che il problema sia nell’utilizzo delle tecnologie, anche e soprattutto nell’era del terrorismo e di un  terrorismo “diverso”; io ha la sensazione che il vero problema possa essere quello più che quello della privacy.

MF: bè, in realtà la matematica non è d’accordo con questo modo di pensare; e perché non è d’accordo…GT: Andavo malissimo in matematica… MF: Abbiamo un ristrettissimo numero di terroristi nel mondo e abbiamo delle reti che comunque non possono essere bloccate indipendentemente da quello che facciamo e il fatto di proibire la crittografia non renderà magicamente impossibile per i terroristi usarne un altro tipo. (Ci si dice che quelli del Bataclan avrebbero usato anche la playstation per le loro comunicazioni NdR). Non è che la proibizione di acquistare pistole per commettere atti terroristici abbia avuto tanto successo nell’evitare atti terroristici. Dall’altro punto di vista abbiamo invece l’indebolimento sistematico di tutta una serie di baluardi in difesa del cittadino in cambio di briciole di momentanea sicurezza. Vale anche in questo caso, perché nel telefono  (oggetto della richiesta di decrittazione ad Apple NdR) abbiamo il sospetto che potrebbero eventualmente esserci delle informazioni che potrebbero portarci forse a nuovi indizi e per questo sacrifichiamo la certezza del fatto di rompere un sistema crittografico(che rappresenta una garanzia di libertà NdR) per tutti i cittadini al mondo! Ora Benjamin Franklin – buffo che lo abbia detto lui, uno dei padri degli Stati Uniti d’America – diceva che “chi è disposto a sacrificare la propria libertà per briciole di sicurezza non merita né la libertà, né la sicurezza”!

GT: Lei credo abbia ascoltato nelle settimane scorse la valutazione fatta da Presidente del Consiglio sul capitolo Cybersicurezza e anche l’entità degli investimenti in atto e la promessa di spenderci qualche soldo in più: la reputa sufficiente o solo il titolo di un capitolo rimasto li

MF: Diciamo che è un ottimo inizio di una frazione di centesimo di investimento reale che può servire per tutelarci. Ricordiamoci che l’investimento prospettato è pochi punti percentuali dell’investimento annuo che gli USA destinano alla sola intelligence telematica. Facciamo due conti…Dall’altro punto di vista è pur necessario iniziare un processo di finanziamento alla sicurezza nazionale e delle infrastrutture critiche. Ogni fondo che arriva è utile: da qui a dire che è risolutivo, o sistematico o sufficiente ne manca ancora un bel po’…

GT: E’ un problema di risorse o di risorse umane, di formazione delle medesime?

MF: Siamo fortunati in Italia perché vantiamo un numero elevato di esperti…

GT: Ma lo abbiamo capito (Ne siamo consapevoli NdR?) o lo stiamo sottovalutando?

MF: Secondo me il Premier non lo ha ancora capito ma ha il tempo per farlo e – dicevo – siamo fortunati perché abbiamo le competenze, titolati di fama internazionale. E’ un po’ particolare il meccanismo di selezione che è stato proposto dal Premier dove non si è andati a cercare gli skill (le abilità, professionalità NdR) più importanti ma delle persone che godono di un regime di fiducia personale, che non significa che non possano diventarlo, competenti…Ma diciamo che esisterebbero già delle persone che possono vantare un pedigree migliore.

GT: senta, quanto è fallace o violabile il nostro attuale sistema di protezione? Quanto siamo robusti o debole da questo punto di vista?

MF: Abbiamo un sistema di protezione? Per quanto ne so io, no. La protezione è lasciata alle singole realtà che devono proteggersi, con forse un piccolo controllo delle misure minime applicate…E’ proprio li che bisognerebbe investire in cybersecurity, cioè nel creare una serie di capitoli che controllino se lo standard di protezione è elevato. Finché lasciamo l’implementazione della sicurezza alle varie realtà, ai vari enti piccoli o grendi restiamo in un regime di incertezza che lascerà un sacco di porte aperte

GT: Quindi lei mi sta dicendo che nella lotta al terrorismo, mi ripeto perché è con questo che ci dobbiamo confrontare oggi come forse più in la sempre di più, noi lasciamo che gli stati siano sempre di più difesi da privati?

MF: Bè, le implementazioni delle misure di sicurezza sono in genere affidate a società private, ma ricordiamoci anche che negli ultimi attentati francesi la componente telematica ha contribuito molto poco: si facevano delle telefonate…Non è la soluzione, la panacea di ogni male la sicurezza telematica, ma di sicuro è una di quelle aree dove c’è meno investimento e che può dare risultati di fronte ad attacchi più grandi.

GT: Grazie Flora, grazie mille; verrò a ripetizioni di matematica da lei, chissà che non sia la volta buona che ci capisca qualcosa.

Borgone Susa, 19 febbraio 2016 – Sbobinatura e commenti a cura di Claudio Giorno

Matteo Flora  scrive di informatica e varia umanità su un blog:   http://mgpf.it/  dove si trova anche l’intervista che ho sbobinato. http://mgpf.it/2016/02/18/apple-crittografia-e-privacy-il-mio-intervento-a-omnibus-la7.html  Si presenta così: “Matteo Flora, Hacker, ho fondato una Reputation Company ed unaUX Agency. Skill di Privacy, Forensics e IP Protection traDharma & Data”. E’ accusato di volta in volta di essere di destra, (lui ha più volte affermato che non va a votare) di essere smaccatamente filo-Americano (ma qui critica gli Usa – lo loro disinvoltura nello spionaggio – come uno di estrema sinistra), di essersi venduto  a questa o quella potenza mediatica Youtube vs Mediaset), ma quel che dice in questa intervista a me sembra quanto mai lontano dal coro mainstream che ci spinge a sacrificare quel poco che ci resta di libertà, alle superiori esigenze della “nostra sicurezza di cittadini” (e che emerge anche e bene dalle domande della giornalista de La 7); ma soprattutto buona parte delel sue affermazioni mi sembrano molto condivisibili “su un piano di etica  applicata all’informatica”. Etica messa in discussione –  “paradosso inquietante” da un attacco pubblico, e difesa da una company privata e che ha visto sin qui Apple resistere a una ingiunzione di un tribunale e della polizia federale americana. Cg

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Clamoroso?!

Le “scuse” di Blair

le guerre sbagliate dell’occidente e le loro conseguenze “impreviste”

US President George W. Bush (R) awards Former British Prime Minister Tony Blair (L) Presidential Medal of Freedom in the East Room of the White House in Washington, DC, January 13, 2009. AFP PHOTO/Jim WATSON (Photo credit should read JIM WATSON/AFP/Getty Images)

L’Independent ha rivelato che l’inchiesta sulle responsabilità di Tony Blair nella guerra in Iraq è finalmente in dirittura d’arrivo, dopo 4 anni di lavoro e  la stesura di un milione di parole! Le anticipazioni dicono che il rapporto contesterà autorevolmente la linea ufficiale sostenuta in quegli anni dal premier laburista. Infatti, il team è guidato da Sir John Chilcot, che è l’ex diplomatico che aveva già indagato sulle false informazioni fornite dall’intelligence sull’esistenza  del fantomatico arsenale di armi di distruzione di massa di Saddam. (All’epoca che precedette la guerra era membro della “Commissione d’esame Butler”). Non sarà facile quindi, per l’ex inquilino di Downing street, sostenere che la probabilissima severa condanna del suo operato possa essere ispirata da pregiudizi “pacifisti” e sostenuta dai nemici del Regno Unito

E questo sarebbe il vero il motivo che ha indotto il brillante uomo politico cui si ispira il nostro attuale primoministro a rendere – nella giornata di domenica – la clamorosa  ammissione di errore di cui hanno parlato i giornali di tutto il mondo! Un “mettere la mani avanti” e soprattutto uno scarico preventivo di responsabilità da addossare per intero ai “jamesbond” dell’epoca come se non fossero stati scelti e/o confermati da lui nel delicatissimo ruolo alla vigilia di un impegno che sarebbe costato migliaia di morti; (qualche decine dei quali – sudditi di Suamaestà la Regina)! Ed è infatti proprio sui caduti dell’esercito inglese, sulle mancate scuse nei confronti delle loro famiglie che  la “furbata” di “Tony il rosso” (ma solo di pelo) ha mostrato la corda, attirandogli addosso le critiche anche di chi – in un primo tempo – aveva apprezzato lo sforzo di “sincerità” non comune ad ex governanti dell’era moderna…

Ma la conseguenza (probabilmente indesiderata) che la sua  pur parziale ammissione di responsabilità sta avendo è quella di mettere in discussione gli ultimi cento anni di politica di Europa e Stati Uniti in particolare verso il mondo arabo, gli errori tragici e recenti che come lo stresso Blair ammette a denti stretti hanno creato la destabilizzazione dell’intera regione e dato un forte contributo alla nascita del “califfato” e quindi al pericolo rappresentato dall’ISIS. Ma anche gli errori storici seguiti alla prima guerra mondiale che hanno creato non solo le condizioni per l’ascesa del totalitarismo nazifascista (e quindi il secondo conflitto globale), ma anche i presupposti per il fallimento del tentativo di governanti illuminati di dare ai paesi arabi una prospettiva di organizzazione liberal-democratica sul modello  delle democrazie europee. Responsabilità che autorevolissimi storici (non necessariamente “schierati”) attribuiscono, oltre che agli USA, a Gran Bretagna e Francia. Lo ha affermato – ad esempio, e con la schiettezza che gli è congeniale – Franco Cardini nella trasmissione radiofonica “tutta la città ne parla”. Lo storico medioevista che non può certo essere accusato di simpatie a sinistra: alla domanda del conduttore su cosa sarebbe successo se quell’”errore” (la Guerra del Golfo) non fosse stato commesso così risponde:

bisogna partire da lontano, a parte il copione noiosissimo che gli americani ricorrono sempre, (lo hanno fatto per la guerra di Cuba nel ’94,  per le due guerre mondiali, poi nel Vietnam, sempre la solita nave attaccata a tradimento, questo western continuo che torna e che rivela anche una mancanza di fantasia)…Ma se vogliamo parlare sul serio di responsabilità cominciamo a puntare il dito su chi ha le vere responsabilità storiche: la vergognosa miopia e il vergognoso egoismo dei vincitori della prima guerra mondiale, tutto quello che è successo dopo, da Hitler a Saddam all’Isis risale alla responsabilità della conduzione Francese e Inglese che prima ancora dello scoppio del conflitto avevano promesso ai popoli arabi, allo “sceriffo” della Mecca al-Husayn  di permettere la nascita di un unico stato arabo: Husayn era un liberale, grondava filo-occidentalismo da tutte le parti, sognava uno stato arabo a immagine e somiglianza dell’Impero Indiano che sarebbe entrato nel Commonwealth . Un anelito disatteso consapevolmente per una visione vetero-colonialista e miserabile al punto che  hanno disatteso i loro stessi impegni e si sono suddivisi l’area, Francesi a nord e inglesi a sud  e hanno regalato l’Arabia  al movimento più brutto, sporco, cattivo di tutto l’Islam; agli “eretici” al cui capo c’è la famiglia di Ibn Saud e dei quali in questo momento non si può dire nulla di male perché si stanno letteralmente comprando tutta l’Europa. così quando un disgraziato operaio marocchino picchia la figlia perché non vuole indossare il velo tutti insorgono; i giornali ci fanno pagine e pagine con titoli a otto colonne; ma avete presente la legislazione che vige in Arabia Saudita?  E i ricchi vanno in vacanza a Dubai”…

Fin qui l’nvettiva di Cardini (che spero di aver “sbobinato” correttamente perché non ho difficoltà a confessare la mia assoluta ignoranza di “cose arabe” peraltro assai diffusa, mentre mai come adesso ci si dovrebbe impegnare a capirne di più.  Ma se a noi – comuni cittadini – può essere concessa qualche attenuante che dire dei potenti del mondo che ci hanno precipitato nella situazione che oggi è sotto i nostri occhi? La “confessione” di Blair al di la e oltre gli aspetti sopra accennati e che nella trasmissione sono stati ampiamente analizzati (e da più punti di vista) “certifica” un altro terribile “sospetto” che il movimento pacifista denunciò con forza tra l’una e l’altra delle “guerre del golfo” tra quella di padre e figlio (Bush): che le vere ragioni (che del resto affondano nel colonialismo pre-grandi guerre che hanno indotto presidenti, sovrani e primiministri, dittatori o “democratici” a dichiarare guerra siano sempre quelle economiche. L’accaparramento di materie prime, la supremazia in un’area “strategica” e così via. Poi un pretesto si trova sempre, salvo a scoprire negli archivi (e questa volta già nelle anticipazioni di un tabloid che ha raccolto una maldestra autodifesa preventiva di un sinistro di governo) le prove dell’inganno, la “pistola fumante” nelle mani di un esecutore i cui mandanti siedono nei board delle corporation.

Borgone Susa, 26 ottobre 2015 – sbobinatura e ricerche a cura di Claudio Giorno

Qualche link per spaene di più

http://bushblaircontrosicurapacefeceroguerrairakimpedendoesilioasaddam.it/content/linchiesta-chilcot-contester-la-linea-ufficiale-sulliraq

http://eutopiamagazine.eu/it/franco-cardini/issue/islam-una-minaccia-leuropa-le-risposte-di-franco-cardini

https://it.wikipedia.org/wiki/Unificazione_dell%27Arabia_Saudita

http://www.radio3.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-f5474704-6e99-4c88-9282-063ceaa5a185.html

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Un libro affascinante…

Disintegrazione, come salvare l’Europa dalla Unione Europea

Una lettura che fa pensare…che il  modo in cui il Movimento No Tav ha imposto nella agenda europea il tema delle grandi opere inutili sia più europeista delle “politiche di coesione”

Mentre viene dato l’annuncio dell’assegnazione a sorpresa del premio Nobel per la pace al quartetto per la Tunisia va in onda una conversazione interessante, inusuale persino per una rete che prova ad avere un po’ di autonomia dalla politica come la terza della radio pubblica. Un dialogo serrato con Jan Zielonka, docente di “politiche europee” ad Oxford,  autore del libro “Disintegrazione, come salvare l’Europa dalla Unione Europea”, (editore La Terza), presentato in questi giorni dando vita a una discussione accesa sul futuro del vecchio continente.

jan zielonka

Un futuro che secondo l’autore non può essere lasciato soltanto nelle mani dei politici: rappresentanti di stati falliti, microscopici cui si attribuisce un potere negato – ad esempio – alle grandi metropoli europee che non  hanno delegati. Gente incapace di riconoscere i limiti ormai palesi della struttura della Unione ma – soprattutto i propri – cui si lascia il monopolio sulla integrazione. Di qui la proposta rivoluzionaria ”Se non possiamo cambiare l’Unione Europea, cambiamo l’Europa! Bisogna fare qualcosa come cittadini, come attivisti di ong: non possiamo sempre aspettare le decisioni del capi di governo, per fare l’integrazione, tanto più che il loro lavoro risulta oggi molto povero”. Un  libro provocatorio, commenta la conduttrice, che aggiunge di averci letto come l’inadeguatezza dell’attuale architettura decisionale sia facilmente riconoscibile nella ostinazione a preservare le strutture piramidali del potere anche in un momento in cui è la rete il modello in cui i cittadini si sentono coinvolti e partecipi. “Il vero obiettivo della integrazione è la soluzione comune dei problemi, non la costruzione di un megastato; e problemi diversi richiedono soluzioni,  istituzioni e attori diversi.  Possiamo davvero credere che problemi come il commercio, le politiche energetiche o l’immigrazione possano essere governati nello stesso modo e dallo stesso centro? Ci sono oltre 40 organizzazioni regolative nella UE  possiamo dar loro più potere, più fondi e più autonomia”.  La conduttrice afferma che l’interlocutore – nel testo – analizza tutte le crisi, i conflitti che si sono aperti in queste settimane nella Unione che mettono a nudo un meccanismo istituzionale che è già fallito. “ Certo: non dobbiamo accettarlo passivamente ma dobbiamo ammettere che l’Europa è già in una fase di disintegrazione.  Ne sono felici gli euroscettici perché per loro questa politica della Unione è  una manna”… Incalzato perché dia consigli ai politici precisa di non fare il politico ma l’analista, tuttavia di avere a che fare spesso con i politici da oltre 40anni  e di sapere bene che loro sono soliti rassicurare gli interlocutori critici ripetendo sempre che “tutto è sotto controllo”. Ma non è così: “chi di noi pensa davvero che la Grecia riuscirà a pagare i suoi debiti…Chi di noi pensa davvero che il piano di investimenti di Juncker produrrà una vera crescita?  Dobbiamo essere onesti e parlare di queste cose in modo aperto e creativo. Ma ci manca immaginazione e coraggio”. E non vede niente di promettente all’orizzonte: “Angela Merkel è il vero capo dell’Europa, ma nei trattati sta scritto che la sede del governo continentale è Bruxelles. Lei è come la regina delle favole e per la dimensione del male che affligge l’Unione aspirina e cerotto non bastano”. La frase di rito “risolvere alla radice i problemi” abbandonando i palliativi che l’intervistatrice propone come interpretazione autentica non sembra convincere Zielonka: “ Fin qui l’Europa ha creato un sacco di problemi che adesso sta cercando di riparare: si è parlato di politiche di immigrazione, ma la politica del governo di Bruxelles ha contribuito a trasformare il mediterraneo in un cimitero, perché invece di sostenere Mare Nostrum l’UE ha scelto di mettere in campo una operazione militare contro i trafficanti che ha avuto immediati e pesanti costi umani. Gli italiani sanno bene che questo è un problema di profughi: io ricordo molto bene la strage di Brindisi di 15 anni fa; ebbene cosa ha fatto l’Unione in questi 15 anni? Se il controllo delle frontiere in Ungheria ci ricorda il passato fascista di questo paese Viktor Orban può dire di star implementando le regole di Schengen! Questi danni sono difficili da riparare!” Ancora un tentativo (un po’ penoso) della conduttrice di “salvare” l’Unione che starebbe lentamente (con i suoi tempi) proponendo delle novità; ma qui la severità di giudizio del professore vira in una battuta caustica: “quali novità? sarebbe Juncker la novità? Il simbolo dell’ancien régime; lui era il padre anche dell’euro! Siamo onesti! Quali sono le riforme vere. E’ questa la mia preoccupazione perché io sono sinceramente a favore della integrazione europea, ma la Commissione cosa fa?”.  E rifiuta con decisione l’ultima definizione che la sfortunata interlocutrice da del suo libro e delle sue idee “provocatorie”: “Io  penso che questo libro sia provocatorio solo per chi governa l’Unione oggi, ma non per i cittadini che se si guarda a quel che pensano sono probabilmente d’accordo con me, basta sentire l’opinione pubblica. Certo, per cominciare si deve partire dai problemi che sono oggi sul tavolo, ma subito dopo vanno affrontati quelli più profondi: come si controllano i mercati finanziari, come si trova lo spazio per i cittadini in Europa, sono queste le cose fondamentali, ma per cominciare bisogna fare passi avanti con i profughi e la crisi sociale!”  

Sbobinatura a cura di Claudio Giorno da Radio 3 mondo / Europa del 9 ottobre 2015

Di seguito la presentazione sintetica dell’editore

Bruxelles non pare capace di guidare l’Europa verso un futuro migliore. Berlino non sembra disposta a farlo. L’alternativa alla disintegrazione è un’Europa ricostruita dal basso.
L’Unione Europea prometteva di assicurare la prosperità attraverso l’integrazione, ma è diventata simbolo di austerità, di conflitto, di perturbazioni sociali e politiche scaturite dalla crisi economica che non è riuscita ad arginare. Pensare un nuovo modello di integrazione che guardi oltre le regole di bilancio e i problemi di leadership è un’esigenza che non possiamo più rinviare. Se l’Unione Europea può fallire, l’integrazione deve proseguire. Zielonka ci incita a pensare con coraggio e creatività un’unità radicalmente diversa da quella attuale. La sua proposta è un nuovo modello di integrazione: funzionale, polifonico, democratico, efficace.

Zielonka offre una nuova e rigenerante visione del futuro dell’Europa, in linea con il motto dell’Unione Europea: uniti nella diversità. Giuliano Amato

Un libro provocatorio, ricco di idee, che arriva nel momento cruciale per il futuro dell’integrazione europea. Lionel Barber, “Financial Times”

Un libro affascinante, che fa pensare. Cambierà la nostra visione dell’Unione Europea. Josef Joffe, “Die Zeit”

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Oltre le tangenti:  lucrare sul disagio dei disabili…

EXPOrtare sciatteria & sciacallaggio  

Chissà se il premier che sta occupando radio, televisione a reti unificate e giornali avrà qualcosa da dire al riguardo?…(E’ questa l’immagine dell’italia che vogliamo esportare nel mondo?) E Cantone: Gli sembrerà un appalto regolare quello di lucrare sul disagio dei disabili? E il Commissariosala (quello che secreta il numero dei visitatori) non dovrebbe secretare se stesso per la vergogna?

Sabato 23 maggio 2015, il giorno prima dell’anniversario del Piave…se ne parla a prima pagina di oggi,  lo fa – in modo toccante ma rigoroso anche Maurizio Maggiani (intervenendo sulle dinamiche della entrata in guerra come furono viste dal versante SudTirolese) . Ma ci sono anche delle Caporetto contemporanee che vengono portate alla luce dalla straordinaria sensibilità e qualità di chi ascolta questa meritoria trasmissione di rai-radio3. Ma quella che qui di seguito vado a “sbobinare” non rende giustizia alla protagonista delle telefonata perché solo i grandi scrittori possono dare un tono anche alla parola scritta; e purtroppo non è il mio caso.  Prego quindi quei (pochi) affezionati lettori delle mie “segnalazioni” di trovare un po’ di tempo per andarsi a sentire una voce carica di orgoglio e dignità sul podcast della rete: http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/popupaudio.html?t=PRIMA%20PAGINA%20Filo%20Diretto%20del%2023%2F05%2F2015&p=PRIMA%20PAGINA%20Filo%20Diretto%20del%2023%2F05%2F2015&d=&u=http%3A%2F%2Fwww.radio.rai.it%2Fpodcast%2FA45867386.mp3 (al minuto 29 circa del “filo diretto”).

Renzi-visita-cantieri-Expo

“Mi chiamo Margherita. Posso dire anche il cognome se vuole: Margherita Caroli. Io sono un medico e lavoro nella provincia di Brindisi. Mercoledì sono stata all’Expo, invitata per un congresso. Io sono un “mammuth” della poliomelite, quindi zoppico. Qundo ho visto che dovevo percorrere un km e mezzo a piedi mi è venuto un colpo. Mi sono detta: io non ce la faccio: mi dite per favore se ci sono degli ausili per delle persone con problemi?  Si signora, come no!…Lei deve pagare: Se io voglio un motorino senza braccioli pago per una giornata 29 euro; con i braccioli 35; se proprio insisto e non voglio stare a acasa , che è il posto giusto per un handicappato che non deve rompere l’anima a nessuno allora mi danno una carrozzina a mano per 15 euro. Io sono saltata tanto che manca poco che partecipavo alle olimpiadi e neanche a quelle para-olimpiche…”(Madonna, si lascia scappare il conduttore di turno – Francesco Specchia che pure, scrivendo su Libero di Belpietro, dovrebbe essere assuefatto a un atteggiamento di “sano e onesto cinismo”…Ma la dottoressa Caroli prosegue) “E’ una cosa che trovo indegna: se lei prima giustamente si meravigliava e soffriva per la perdita dei fondi europei perché nessuno si impegna a studiarne le regole di corretto utilizzo, mettete questa persona che ha avuto questa idea alla gestione dei fondi: perché guardi che guadagnare sui problemi degli altri è di un sadismo vergognoso”. All’imbarazzatissimo giornalista non resta che dichiarare il proprio stupore,  immaginare quello degli ascoltatori  e associarsi all’aggettivo vergognoso, concludendo col buon proposito di girare la domanda ai responsabili della luccicante e avveniristica fiera che nel suo progetto avrebbe ben dovuto prevedere l’accessibilità a qualsivoglia padiglione per ogni e qualsiasi visitatore e a maggior ragione per i portatori di handicap…

( sbobinatura a cura di ClaudioGiorno)

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Garibaldino ad honorem

Pensioni immorali e vitalizi virtuosi

Una telefonata a Prima Pagina di rai radio3 – il 7 maggio 2015 – dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco della rivalutazione delle pensioni decretato dal governo “tecnico”  Passera-Fornero-Monti

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“Buongiorno, io sono Mauro e vorrei intervenire sul tema della restituzione – diciamo così – del maltolto sulle pensioni. Ora io non sono un “buonista”, anzi se fossi nato nell’800 sarei stato un garibaldino e adesso – pur avendo compiuto ottant’anni sarei disposto – se ci fosse un nuovo Garibaldi – a fare la spedizione non per andare in Sicilia a liberare l’Italia, ma contro gli evasori fiscali e contro la corruzione così largamente diffusa nel nostro paese. Glie lo dico perché la mia proposta è per così dire “umanitaria”, nel senso che io sarei disposto a rinunciare alla restituzione del maltolto sulla mia pensione a favore della destinazione di questi soldi a favore di un piano di accoglienza decente dei profughi, a favore di quelle persone che fuggono dalla guerra, dalla miseria e che hanno bisogno di tutto.  Sono un vecchio socialista, non ho mai letto Marx, ma ho letto il Libro Cuore e penso che dobbiamo recuperare l’umanità. Grazie”

(“sbobinatura” a cura di Claudio Giorno)

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Salvini e Don Lorenzo Milani

Bisogna sentirsi ognuno responsabile del tutto

Rai-radio3 – Prima Pagina del 3 marzo 2015

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Primapagina del 3 marzo. Al microfono Federico Fubini, fiorentino, inviato ed editorialista di Repubblica, dopo tredici anni al Corsera. La mattinata scivola via un po’ stanca vivacizzata appena da qualche lettura vitale: Gramellini sull’elicottero di  stato che (causa avaria o maltempo?) ha “svelato” le cattive abitudini – i privilegi della casta – cui Matteorenzi si è presto abituato e che stridono non poco con la sobrietà ferrotranviaria del neo presidente Matterella… Vittoriofeltri in difesa se non di Putin, quantomeno del buonsenso, buttato lì “generosamente” per consigliare ai suoi colleghi grandifirme un po’ di prudenza nell’attribuire allo Zar Vladirmir  la responsabilità dell’ultimo omicidio di un oppositore…Siamo ormai alla penultima telefonata del filodiretto quando irrompe una voce dal tono assai deciso: quella di Francesco Messina, che chiama da Barletta. Il conduttore gli raccomanda la brevità perché, dopo la lettura dei giornali, il tempo riservato agli interventi degli ascoltatori sta ormai scadendo. Ma lui si impone con autorevolezza sottolineando un fatto piuttosto grave di cui nei giorni scorsi nessun blasonato commentatore pare essersi minimamente accorto: “mi riferisco a una frase dell’Onorevole Salvini che durante il comizio romano ha fatto riferimento – a sostegno delle proprie tesi – a Don Lorenzo Milani; a una frase di Don Milani, l’obbedienza non è più una virtù. Si è trattato di una offesa al pensiero e all’azione di Don Lorenzo Milani: la frase – giusto per ricordarla ai radioascoltatori – va letta completamente: l’obbedienza non è più una virtù ma è la più subdola delle tentazioni; che non credano le persone di farsene scudo davanti a Dio e agli uomini, bisogna sentirsi ognuno responsabile del tutto. Quindi esattamente l’opposto delle tesi dell’Onorevole Salvini.  Qui non è tanto in discussione – mi consenta – il rispetto nei confronti della memoria e dell’uomo, di una persona come Don Lorenzo. Ma il rispetto per la cultura e la memoria  delle singole persone, della collettività, della comunità: A me non interessa che un politico per prendere lo zero virgola per cento in più debba poter oltraggiare la memoria, la cultura di una comunità. E’ il sintomo dei tempi difficili – pessimi – che stiamo vivendo quando in contesti pubblici si mistificano per fini propagandistici la vita, la memoria e la cultura delle persone”.  Il tempo tiranno e un conduttore esplicitamente imbarazzato dal rischio – diononvoglia – di apparire politicamente schierato (contro la legarampante), interrompe l’intervento tuttavia ripetendo e sottolineando l’importanza della parte conclusiva della frase di Don Milani “bisogna sentirsi ognuno responsabile del tutto” .

Grazie signor Francesco Messina. Per aver telefonato, per aver dato (a chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo) un esempio alto di indignazione! Anche nel tono che invito vivamente ad ascoltare  scaricando il podcast e andando alla parte finale del seguente link:

http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/popupaudio.html?t=PRIMA%20PAGINA%20Filo%20Diretto%20del%2003%2F03%2F2015&p=PRIMA%20PAGINA%20Filo%20Diretto%20del%2003%2F03%2F2015&d=&u=http%3A%2F%2Fwww.radio.rai.it%2Fpodcast%2FA4580408

Rai- radio3 – Prima Pagina del 3 marzo 2015

( “sbobinatura” e commento a cura di Claudio Giorno)

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Buon compleanno e lunga vita alla radio

Togliere l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per cancellare l’articolo 1 della Costituzione

Rai-radio3 – Primapagina del 9 ottobre 2014

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Dario è un avvocato che ha telefonato ‘sta mattina a Primapagina (condotta questa settimana da Marco Damilano de L’Espresso): esordisce premettendo di occuparsi prevalentemente di diritto del lavoro e di voler parlare del dibattito esploso attorno all’abolizione dell’articolo 18.  “E’un tema che mi preme molto perché sono molto infastidito dalla campagna demagogica in atto e di come viene presentato questo progetto di riforma che prevede l’abolizione di questo articolo dello statuto dei lavoratori. Il messaggio che viene veicolato è che non esiste in questo paese la possibilità di licenziare, bisogna aumentare la flessibilità così si favoriscono gli investimenti, arrivano i capitali stranieri e quant’altro. E’ una clamorosa falsità perché la libertà di licenziare in Italia è sempre esistita;  Ci sono i licenziamenti per giusta causa che sono quelli per motivi disciplinari e giustificato motivo oggettivo (una azienda in grave difficoltà) e quelli collettivi per la grandi aziende in crisi, quindi la libertà di licenziare per buoni motivi è sempre stata ammessa. Stiamo parlando soltanto dei licenziamenti ingiusti, illegali, dove il datore di lavoro vìola la legge.   Ed è proprio questa la norma su cui va a incidere la riformarenzi. Perché se il datore di lavoro rispetta la legge non si troverà mai ad avere a che fare con l’articolo 18;  un articolo che prevede sanzioni molto pesanti che rendono non conveniente al datore di lavoro licenziare per motivi pretestuosi.” Ma allora perché tutta questa enfasi chiede il conduttore. “L’abolizione dell’artico,lo 18 – questo nessuno lo dice – non aggiunge un solo nuovo motivo di licenziamento” (a quelli in essere, n.d.r). “I motivi di licenziamento rimangono tali e quali, semplicemente diventerà più conveniente” (anche il licenziamento ingiustificato n.d.r) “perché si potrà risarcire il lavoratore con importi irrisori. La ragione, in estrema sintesi, di chi ne chiede l’abolizione è perché se io (dipendente) non ho più la certezza del posto di lavoro non posso più svolgere attività sindacale, chiedere al datore di lavoro di rispettare le leggi sulla sicurezza del lavoro, di pagarmi gli straordinari, di rispettare l’orario previsto perché questo in qualsiasi momento si inventa una scusa qualunque…Non è che mi dice ti licenzio perché sei comunista, ti licenzio perché sei arrivato in ritardo. Faccio causa, la vinco, mi dicono che si è sbagliato, ma sono fuori con 3mila euro di risarcimento. E questo rende tutti ricattabili! Tra l’altro (vorrei dare alcuni numeri) proviamo a quantificare questo famoso beneficio per l’economia: prendiamo a riferimento i dati della CGIL che quantificano in 7mila le cause per licenziamenti.ingiustificati nel 2013. Ora io so che 50mila euro è la media del risarcimento che l’esistenza dell’articolo 18 consente ai dipendenti licenziati senza un giusto motivo. Se ne deduce che 350 milioni di euro sarebbero il beneficio annuo per le aziende (che si sono comportate illegalmente), quando la TAV costa 8 miliardi a preventivo! Come dire – mi permetta un’ultiam battita, che per rilanciare l’economia bisogna abolire i vincoli urbanistici, il reato di evasione fiscale, consentire al datore di lavoro di violare la legge senza pagarne le conseguenze! Questa è la riforma dell’articolo 18 e i motivi per cui i poteri forti, la finanza, sono tutti d’accordo quello che è l’attuazione dell’articolo 1 sella Costituzione: La Repubblica è fondata sul lavoro!

Damilano commenta ringraziando l’ascoltatore per aver sottolineato il tema della czncellazione dei diritti che nel dibattito di queste settimane nessuno ha sottolineato aggiungendo che si dice che occorre riformare le leggi sul lavoro per uscire dal ‘900 ma –  si spera – non per ritornare nell’800!

Rai-radio3 – Primapagina del 9 orrobre 2014

(“sbobinatura” a cura di Claudio Giorno)

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In anniversario di  morte

Ada Gobetti
Wikiradio di RadioRAI 3 del 14 marzo 2014
(Goffredo Fofi ricorda Ada Gobetti)

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Il 14 marzo 1968 muore, a Torino, ADA GOBETTI
Ada Gobetti, partigiana, scrisse poco prima di morire, un articolo dedicato ai giovani e alla loro protesta in quei mesi in embrione. Vi si coglie una garbata ma ferma polemica verso i partiti delle sinistra “storica” ostili alla protesta, ma pronti a utilizzarla per inconfessabili giochi di potere. Mi è sembrata di una attualità sconvolgente: “ricordo che ventitre anni fa quando nella imminenza della fine della guerra si cominciavano a far progetti per gli anni a venire ebbi a dire che si sarebbe dovuta chiudere l’università per vent’anni e ricostruirne poi una nuova nata dalle esigenze reali dei giovani. Quello stesso sentimento mi induce oggi a dar ragione agli studenti che stan facendo sciopero occupando l’università. Questa volontà dura e intransigente di rinnovamento totale, questa fiducia nell’azione per risolvere i problemi, non è forse quella che ci ha animato nella nostra lunga battaglia di antifascisti e di resistenti? Perché non volgiamo riconoscere nei giovani di oggi l’urgenza e la forza? In questi ultimi vent’anni ci siamo visti risorgere insidiosamente intorno tante vecchie superate forze e strutture che allora – per generosità o stanchezza – non abbiamo saputo abbattere. Perché non dobbiamo riconoscere ai giovani d’oggi il merito di riprendere la battaglia da noi lasciata incompiuta”?

http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/popupaudio.html?u=http%3A%2F%2Fwww.rai.it%2Fdl%2Faudio%2F1394804136532Ada_Gobetti_raccontata_da_Goffredo_Fofi2014_03_14.ram&p=Wikiradio&d=Ada+Gobetti+raccontata+da+Goffredo+Fofi&t=Ada+Gobetti+raccontata+da+Goffredo+Fofi

(“sbobinatura” a cura di Claudio Giorno)

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Grugliasco 14 aprile 2013 _ ANPI: Emergenza Democratica in Val di Susa

Alcuni frammenti da uno degli applauditissimi interventi di Ugo Berga

Ugo Berga col presidente della Comunità Montana Valli di Susa e Sangone Sandro Plano

Ugo Berga col presidente della Comunità Montana Valli di Susa e Sangone Sandro Plano

Ugo Berga spiega che non si può fare un paragonare tra la Resistenza, il suo periodo storico segnato dall’ apocalisse della seconda guerra mondiale, la ferocia della repressione nazifascista con nessuna delle situazioni – anche le più drammatiche – che hanno oscurato la storia d’Italia recente, dalla stragi di stato al terrorismo, alla repressione degli scioperi e delle manifestazioni di dissenso democratico. Ma una caratteristica del movimento No Tav in cui lui ritrova quantomeno lo spirito con cui loro – giovanissimi – intrapresero quella grande avventura è la natura popolare e “dal basso” della mobilitazione. (Il fatto che non esistano leader o gerarchie se non quel che emerge in modo naturale e spontaneo per le riconosciute competenze in ben definiti campi).  Senza  i soliti esponenti di partito alla guida, il che è stato – dopo tanto tempo – “una novità: una novità che ha impressionato. Perché son tutti per la democrazia e per il popolo è sovrano, ma quando il popolo sovrano decide qualche cosa…cominciano ad avere delle perplessità”…

Aggiunge che (anche per la sua età) non ha ovviamente un ruolo di primissimo piano nel movimento, ma se ne sente un semplice militante e partecipa sempre volentieri alle manifestazioni e – quando viene invitato – anche a  delle serate di iniziative e dibattito. Come l’estate scorsa a Chiomonte, dove dopo la conclusione della chiacchierata si è fermato a cena stupendosi molto del fatto che alla fine non ci fosse da pagare il conto! Ognuno porta qualcosa e solo se per una volta non si è fatto in tempo a cucinare si può “rimediare” mettendo  un contributo nella cassetta delle offerte…
tant’è vero che quella sera pareva che fossimo destinati a restare senza frutta fin che non è arrivato un signore con – credo – delle susine appena raccolte e si è potuta terminare al meglio la cena! Ecco è proprio l’idea e la pratica della condivisione che regnava nelle nostre formazioni! Avevamo adottato il motto di un partigiano di San Giorio che tradotto dal dialetto suonerebbe più o meno così: se ce n’è, ce n’è per tutti. Non c’erano distinzioni. Non era prevista la mensa ufficiali…Non solo, ma quello che c’è va prima di tutto ai più bisognosi: se riuscivamo ad avere un paio di scarponi nuovi non lo si dava al comandante, ma a quello dei partigiani che aveva le scarpe più rotte. Pratica diffusa ovunque come mi ricordavano ancora pochi giorni fa i responsabili del museo della Resistenza di Fosdinovo presso Massa e Carrara. Questo era il principio che è raccolto nella nostra bellissima Costituzione repubblicana che del resto è il risultato più alto della nostra lotta di liberazione!

(…) “E oggi non è certo il movimento No Tav, l’esito della lotta in difesa del territorio della Valle di Susa la maggiore delle preoccupazioni…E’ per i giovani che sono molto preoccupato, moltissimo
Ormai abbiamo dei ragazzi che non hanno più 18 anni ma ne hanno 30, e non hanno nessun avvenire davanti. Sono precari. Ci si lamenta che in Italia non si fanno più figli. Per forza: una coppia di venticinque/trentenni che dovrebbe decidere di aver a dei figli ma che ha un lavoro precario – che non sa se di li a tre mesi potrà ancora contare su uno stipendio o no – come fa a prendere una decisione responsabile? Non c’è futuro per questi ragazzi. Per adesso vivono con lavori saltuari, pagati malissimo, sette o ottocento euro al mese, ma sopravvivono perché c’è ancora l’aiuto dei genitori, e qualche volta anche dei nonni! Gira una barzelletta molto significativa al riguardo dove si chiede a un giovane “questa estate dove vai in vacanza?” e costui risponde: “a pensione…” Al che l’interlocutore chiede se ha trovato posto in uno di quei piccoli alberghi economici ma si sente rispondere che è “la pensione di nonna” che gli consentirà di fare qualche giorno di vacanza!…
Ecco lasciando da parte le barzellette (ho un nipote che insegna ma con un contratto rinnovato di anno in anno e senza diritto al trattamento di malattia, ferie, figurarsi prospettive di pensione…)
è chiaro che se la situazione non cambia (e se non cambia anche un po’ velocemente) persone che si avviano ad avere 45-50 anni che prospettiva possono avere : saranno costretti a fare una scelta rivoluzionaria, se se ciò dovesse malauguratamente accadere sarà per concreta necessità, per meri motivi di sopravvivenza mentre nel ’43, la necessitò era essenzialmente morale. Tant’è vero che io mi stupivo molto in quei primi giorni in montagna quando le bande partigiane si andavano formando, che si aggregavano non solo i meridionali che non sapevano come tornare a casa o i militari, ma molti, giovani di diciotto o diciannove anni: Ricordo che riflettevo tra me e me dicendomi: Ma questi non hanno nessun obbligo, non devono difendersi dai nazifascisti. Perché vengono con noi? E mi rispondevo che stava sicuramente emergendo quel substrato politico.  Sicuramente si trattava di ragazzi cresciuti in famiglie di cultura antifascista e per loro era evidentemente “venuto il momento” di passare all’azione“!

Ugo Berga, classe 1922 – Partigiano Combattente e Commissario Politico della 106^ Brigata Garibaldi “Giordano Velino”

(“sbobinatura” a cura di Claudio Giorno – letto a Marzabotto durante il dibattito Grandi Opere e Comunità Locali il 25 aprile 2013)

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Alla riscoperta di Aldo Capitini

Intervista di Loredana Lipperini a Goffredo Fofi
Fahrenait su RadioRAI 3 del 19 settembre 2011
(In occasione della ristampa per i titoli di Laterza del libro Religione aperta e in occasione della 50^ marcia per la Pace da Perugina ad Assisi)

Goffredo Fofi

Goffredo Fofi

La nonvilolenza è rimasta abbastanza marginale nel quadro italiano e direi anche perché i nonviolenti non sono stati abbastanza presenti: ottime persone, straordinarie, tra le migliori che conosco ma un po’ incerti nell’agire all’interno della realtà. Gandhi e di converso Capitini dicevano che la parola nonviolenza è una parola attiva. Capitini la scriveva sempre tutto attaccato e detestava la lineetta di separazione tra non e violenza.perché nell’originale indiano non è una negazione ma una affermazione. Una parola che rifiutava il male – “non collaborare con il male” – prevedeva anche la disubbidienza civile e contemplava anche la “non menzogna”… C’è stato un legame con tra Aldo Capitini e don Lorenzo Milani?. Capitini si entusiasmò per l’esperienza pastorale di Barbiana, per il suo primo libro. come Pasolini, come Fortini e molti intellettuali del tempo, e andò a trovare don Milani, discusse molto con lui, fece anche un piccolo giornaletto sulle idee di don Milani, stampato con caratteri grandissimi, essenziale. Tra Capitini e don Milani c’è quindi stata una collaborazione profonda soprattutto su un aspetto fondamentale della nonviolenza che è il rifiuto ella guerra attraverso l’obiezione di coscienza. Ci furono due casi clamorosi negli anni’50, quelli di Pietro Pinna e Beppe Gozzini che sono stati i casi che hanno smosso un po’ le acque anche perché don Milani fu processato dal Tribunale Militare per la presa di posizione su Gozzini (che era cattolico) in quanto aveva suscitato il risentimento dei cappellani militari. Questo fu uno dei temi di allora, ma il discorso che credo sia centrale oggi e da cui occorre ripartire è quello della disobbedienza civile, Io credo che ci siano al riguardo grandi esempi nella storia, non solo quello di Gandhi ma anche nella tradizione cristiana, cattolica nella tradizione politica del socialismo dell’800 ma persino oggi: non so, per esempio i NoTav sono una forma di disobbedienza civile al cui interno ci sono contrasti tra quelli più violenti e quelli non violenti, però sono comunque discorsi di disubbidienza civile. Disubbidienza civile che vuol semplicemente dire “io mi assumo la responsabilità di quello che faccio; disubbidisco a delle leggi, ma credo che delle leggi debbano esserci per la convivenza civile in un paese; disubbidendo mi aspetto di essere punito, ma attraverso la mia azione spero che altri si colleghino, che il discorso si allarghi e che si possa insieme operare per una trasformazione della realtà anche politica e anche sociale e civile. Ci fu un giudizio piuttosto duro di Günther Anders, (che rinnegò la nonviolenza perché ne vide l’impotenza di fronte alla forza aggressiva e dominante …NdR). Egli accusò i nonviolenti di fermarsi nella loro azione a inutili happening gratificanti, e di essersi costituiti una sorta di alibi. E’ un giudizio che lei condivide in parte o del tutto? Si, lo condivido. Credo che il limite della nonviolenza e dei nonviolenti sia proprio stato questo: di non andare fino in fondo in un discorso radicale nei confronti della storia del presente. Come se in fondo si pensasse che bastasse migliorare se stessi, essere bravi nel proprio ambito, che è un grande alibi collettivo degli italiani in questi anni. Conosco tantissima gente per bene che però poi non incide sull’andamento generale del paese perché non si collega, perché lo scatto è la politica. Il far politica di Capitini non è il far politica dei politicanti – ovviamente – è il far politica agendo nella realtà per trasformarla a partire dalle discrepanze, dai momenti più neri della realtà. Intervenire attivamente vuol dire anche portare avanti dei discorsi di lotta. Non si cambia la realtà senza lottare. Questa lotta va fatta coi metodi della nonviolenza ma va fatta. Se non si lotta non si è non violenti diceva Gandhi e diceva lo stesso Capitini…Qualche giorno fa ho letto in una intervista ad Alessandro Baricco che si dichiarava incuriosito dal “progressismo passatista”, come se oggi per essere progressisti fosse assolutamente necessario guardare indietro, al passato. Secondo lei è vero, e se si è preoccupante o positivo?
E’ qualche cosa di assolutamente positivo: il mondo si è spinto troppo avanti in un sistema di consumismo, di violenza, in un sistema tecnologico: Io condivido sostanzialmente le opinioni di un grande pessimista: Louis Bonuel che diceva che i quattro cavalieri dell’apocalisse agenti nella storia sono la scienza, la tecnologia, la sovrappopolazione e la comunicazione. Su quest’ultimo tema magari lei non sarà d’accordo, ma io credo che avesse ragione anche in questo. La comunicazione attuale impedisce il pensiero: le parole inutili, le musiche inutili, le immagini inutili servono a distrarci, a non farci pensare e se uno non pensa non agisce, non prende in mano il proprio destino. E credo che la nonviolenza e la disubbidienza civile debbano diventare una strada per tutto questo: le opinioni di Anders sono le opinioni di un grande deluso. Bisogna Anders è stato un grande pacifista, quello del pilota di Hiroshima. E’ uno che si è dato da fare da matti nel dopoguerra all’interno del movimento pacifista anche con grande simpatia per la nonviolenza, poi si è un po’ rotto le scatole di vedere che queste cose lasciavano da parte i nodi centrali per l’appunto del potere. Noi facciamo il solletico al potere, non lo mettiamo in crisi. Bisogna metterlo in crisi, bisogna modificare la realtà. Se invece consideriamo la nonviolenza come un percorso di perfezionamento personale o le marce come un happening domenicale festoso tipo festival dell’unità evidentemente non siamo sulla strada giusta. Il problema è anche la lotta. Nonviolenza vuol dire lotta, intervento, rischio. Deve entrare nella storia. Della storia – diceva Capitini – non bisogna avere paura.
Nella sua prefazione tira una frecciatina al postmoderno ovvero alla freddezza del postmoderno nell’aver buttato cenere sulle passioni dichiarando più importante o più giusto avere uno sguardo distaccato. Questo può essere stato negativo?
Intanto bisogna partire dalla constatazione che il postmoderno esiste. Io sono convinto che negli anni ’80 siamo usciti dall’evo moderno e siamo entrati in un nuovo evo che è perl’appunto il post-moderno e con questo bisogna fare i conti, Non si può non prendere in considerazione questa enorme mutazione che è avvenuta. Dopodichè di questa mutazione non è che tutto può entusiasmarci. Ci sono cose della globalizzazione che a me piacciono. In fondo nelle vecchie ideologie socialiste pre III internazionale “nostra patria il mondo intero” era uno slogan caro: la solidarietà tra gli operai e i proletari di tutto il mondo che avrebbero dovuto unirsi secondo il progetto socialista era qualcosa di molto serio e in qualche modo è stata avvicinata da questa mutazione/trasformazione. Il problema è che questa mutazione/trasformazione è gestita da piccoli nuclei di potenti di benestanti, quelli che sanno manipolare le scienze, la comunicazione e tutto il resto in funzione del loro potere, della loro ricchezza. In Italia stessa senza andare troppo lontano – la disobbedienza civile e la nonviolenza di questo dovrebbe occuparsi – c’è in fondo un 10-20% della popolazione che detiene l’80% della ricchezza del paese. “Le duecento famiglie” – dicevano quelli del fronte popolare francese. Anche in Italia ci sono duecento famiglie che sono “i padroni dell’Italia”. Contro questo bisogna agire, bisogna muoversi, con mezzi nonviolenti – certo – però bisogna intervenire con la disobbedienza civile e in questo io credo bisogna “svegliare” i nonviolenti o aprire alla possibilità che “nuovi nonviolenti arrivino” e che possano intervenire nel mondo contemporaneo in modo più attivo, più pregnante e più forte.
Io ho un’ultima domanda da farle, Goffredo Fofi: abbiamo aperto questa conversazione citando le parole di Aldo Capitini, Io dadesso vorrei leggerle tutt’altre parole che abbiamo letto tutti sui giornali di questi giorni, parole di una ragazza di vent’anni Terry De Nicolò, e sono queste”per avere successo devi passare sui cadaveri degli altri ed è giusto che sia così”. Alla luce di questa farse lei sente di più la delusione di Günther Anders o lp stimolo ad essere ottimista di Capitini?
Io sono molto contraddittorio in questo. Da un lato una persona così mi fa semplicemente orrore, come mi fa orrore gran parte degli abitanti di questo paese, sia chiaro: magari carissime persone però disposte a tutto per la loro sopravvivenza, per il loro benessere. Nello stesso tempo “Capitinianamente” penso che se uno lotta per la liberazione da questa realtà lotta per tutti. Il Tu Tutti di Capitini comprende anche le Escort, comprende anche Berlusconi – mi spiace – comprende tutti. E in funzione di una liberazione generale di tutti che si lavora, dopodichè si lavora all’interno della storia. Si è nella storia e ci sono dei passaggi e dei momenti in cui bisogna – che ne so – mettere Berlusconi in grado di non nuocere e aiutare le escort a trovare una strada degna della loro natura, della dignità dell’uomo e della donna in un contesto – che è il postmoderno – che la sta negando totalmente

http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/popupaudio.html?t=fahrenheit&p=fahrenheit&d=&u=http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/archivio_2011/audio/intervista2011_09_19.ram

(“sbobinatura” a cura di Claudio Giorno)

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